Il primo anno a Harvard venni punito per una bravata. Durante un rituale di iniziazione io e un’altra matricola rapimmo la mascotte della confraternita rivale e la rinchiudemmo un intero week-end nell’ufficio del Rettore. Peccato che fosse una scrofa di notevoli dimensioni, che distrusse qualunque cosa le capitò a tiro. I nostri nomi saltarono subito fuori e venni condannato a lavorare per un intero semestre nella mensa del campus. Quando mio padre venne a saperlo si rifiutò di tirarmi fuori dai guai. Credete che lo abbia fatto per darmi una lezione di vita? No, disse che mi ero fatto beccare e che quindi non meritavo il suo aiuto. Così mi dovetti scopare per tutta la durata della punizione quel cesso della Direttrice della mensa, una quarantenne insignificante, il che però mi consentì di saltare praticamente tutti i turni.
Ho sempre trovato il modo di cavarmela, sono furbo e determinato, sia che si tratti di evitare una punizione che di concludere ottimi affari.
Fisso questo scricciolo di donna che mi guarda con aria sicura e la odio come poche cose nella vita. Mi alzo perché stare in una posizione di superiorità rende quello che dici più efficace.
«Ascoltami bene, perché non lo ripeterò. Non so che cosa tu ti sia messa in testa, ma sei molto lontana dal tenermi per le palle. Ora, o tu firmi il contratto che c’è su quel tavolino, oppure te ne torni nella fogna di mediocrità dalla quale per un momento sei strisciata fuori.»
Sono sicuro che per lei vedermi in difficoltà non ha prezzo; chissà quante volte lo avrà sognato in questi ultimi due anni.
«No, Lex. Tu ora dici al pinguino di prepararti i bagagli e lunedì ti trasferisci da me. Se lo farai, lavorerò al manoscritto e in un mese avrai il tuo capolavoro. Altrimenti io uscirò da questa casa e dalla tua vita per sempre.»
«Vaffanculo!»
Divento aggressivo quando sono messo al muro; mediamente incazzato uso il sarcasmo, molto incazzato divento scurrile.
«Lo devo prendere per un sì?» chiede serafica.
Analizziamo con calma la situazione: ho a che fare con una squilibrata, ora ne sono certo. Magari mi vuole tutto per sé, è innamorata e sta sfruttando tutto questo per avermi. Altrimenti perché cazzo vuole che vada a vivere con lei? Forse crede di poter pretendere gli stessi incentivi che davo a Cloe. Non che la cosa mi dispiacerebbe; non è certo il mio tipo, troppo rozza, ma è scopabile. Quello che mi fa imbestialire è ben altro. Non ho scelta! Con Cloe ero io a dirigere il gioco, Fedora avrebbe il controllo. Chi si crede di essere questa stronza?
Mi alzo e mi metto a pochi centimetri dalla sua faccia. «Prendilo come ti pare! Io non verrò a vivere a casa tua, né lunedì, né mai! Non so che cosa ti sei messa in testa e perché lo fai, ma…»
Mi interrompe mettendomi una mano sulla bocca. Mi paralizzo dalla sorpresa: erano anni che nessuno mi toccava senza un esplicito invito. Questo è già di per sé grave, ma quello che è proprio inconcepibile è che io resti fermo e glielo lasci fare. Percepisco il suo profumo e di nuovo sento una strana sensazione che non so proprio come definire.
«Il punto è proprio questo» ribatte con rabbia. «Lavoro per te da due anni e non sai nulla di me, se non quello che c’è scritto nel mio curriculum. Non te n’è mai fregato niente. Ora hai bisogno che io ti aiuti, ma devi capire che non tutto si può ottenere con il denaro, anche se quello che mi offri è un insulto alla povertà nel mondo. Questa volta non te la caverai con il libretto degli assegni. Hai paura di non reggere fuori dal tuo mondo dorato, Lex? »
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