Su questa recensione non so bene cosa dire, non perché non abbia un parere preciso sul libro, ma perché c’è una vocina nella testa che continua a disturbarmi.
Ora io lo so che sentire le voce è indice di pazzia, però se a scuola ho imparata qualcosa è che gli artisti per definizioni sono estrosi, non pazzi. XD
Il problema con “Big Apple” è che la vocina in questione (che sicuramente deriva dal mio Io scrittore) mi invita a considerare che il libro è la prima opera di un’autrice self e che quindi dovrei concedere delle piccole attenuanti. Infondo pubblicare un libro di cui ho letto tante recensioni entusiaste non è cosa da poco. D’altra parte come lettrice io considero ogni libro sullo stesso pari e dell’autore mi importa poco o niente. Quando scelgo qualcosa da leggere guardo la copertina, la trama e qualche volta (ma non è una regola) leggo le recensioni. Spesso e volentieri neanche leggo il nome dell’autore.
Tutta questa introduzione nasce dalla discussione che ho avuto con un’amica che mi ha fatto notare che non dovrei valutare allo stesso modo chi pubblica per la prima volta e chi lo fa da vent’anni (e ho pensato che magari anche chi segue il blog potesse pensarla così). Io però non sono d’accordo. Per me l’opera di un esordiente e l’ultima di Nicholas Sparks sono assolutamente sullo stesso piano e non è insolito per me trovare libri di esordienti che mi piacciono più di quelli di autori navigati.
Ma veniamo a “Big Apple”.
Il libro l’ho conosciuto leggendo tante recensioni entusiaste di blogger e lettrici che mi hanno incuriosita, oltre alla copertina che trovo davvero intrigante. In uno dei commenti si diceva che l’autrice non solo viene dal mondo self, ma è anche italiana. Così alla prima occasione l’ho acquistato.
Inizio col dire che la storia nel complesso è molto carina e in più di un punto è riuscita a farmi sorridere e divertire. Il libro ha sicuramente molti punti forti, come lo stile dell’autrice, che sebbene un po’ acerbo, mi è sembrato molto promettente. Tuttavia ho trovato anche alcune cose che mi hanno storcere un po’ il naso.
La prima è il modo in cui “Big Apple” inizia. Il primo capitolo serve a presentare i due personaggi principali, Dora e Lex, e delineare il contesto in cui si muovono. Il problema però è che lo fanno come se fossero ad una seduta degli Alcolisti Anonimi.
“Mi chiamo Dora Monroe, ho venticinque anni e vivo a New York.”
“Il mio nome è Alexander Maximilian Stenton III, ma gli amici mi chiamano Lex e la ragione non me la ricordo più.”
Una delle regole d’oro per chi scrive è “Show don’t tell”. Un’introduzione del genere che alla fine non è niente di più di un elenco delle caratteristiche fondamentali del personaggio, ti toglie il gusto di scoprirli leggendo piano piano, di conoscerli, di capire perché si comportino in un dato modo.
Mi è piaciuto il modo in cui sono stati caratterizzati e soprattutto il fatto di scegliere una donna che non si prostra ai piedi dello sciupafemmine di turno. In realtà fin dal primo capitolo Lex e Dora appaiono molto simili, hanno due caratteri forti e indipendenti e lo stesso approccio con l’amore. Ciò nonostante, scegliendo di narrare in prima persona alternando il punto di vista dei due protagonisti, le due voci non sono abbastanza differenziate. Lex e Dora parlano allo stesso modo, spesso usando le stesse espressioni e questo finisce per appiattirli.
Se si osservano due persone di una famiglia che condividono esperienze, ambiente, cultura, difficilmente queste si esprimeranno con gli stessi toni ed usando le stesse espressioni. Il linguaggio è quanto di più soggettivo esista ed è ciò che maggiormente caratterizza un personaggio. Per questo è poco credibile che due persone così diverse per estrazione sociale e ambiente familiare, parlino e si esprimano in modo così simile.
Infine in alcuni punti la trama mi sembra un po’ forzata e traballante, in particolar modo l’idea della convivenza come metodo rieducativo mi ha convinta poco. In primis perché qualcosa di simile lo avevo già letto in un libro della Premoli (e nemmeno lì mi è piaciuto), e poi perché da un personaggio come Lex che all’inizio si presenta come uno abituato a vincere e non cedere mai, mi sarei aspettata qualche tiro mancino per tirarsi fuori dalla situazione (qualcosa che andasse oltre i dispetti che si fanno inizialmente).
So che in molti hanno amato questo libro e nel complesso anche io l’ho trovato carino, sicuramente un buon esordio per uno scrittore self. “Big Apple” è una lettura leggera e piacevole, che però presenta delle imperfezioni.
Credo che l’autrice abbia un buon potenziale e sono curiosa di vedere come si evolverà il suo stile.
Nell’insieme credo che al libro darei 2 stelle e mezzo.
Che ne dite? Voi lo avete letto? Sono stata troppo cattiva?
Questo il link al blog http://unlibronelcassetto.blogspot.it/2016/04/recensione-big-apple-di-marion-seals.html
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