Ed eccomi, dopo mesi di trepidante attesa, a parlarvi della seconda metà di Point Break, la parte On the road del romanzo di Marion Seals. La mia grande fortuna, finora, è sempre stata quella di essere fisiologicamente immune dalla cosiddetta “sindrome della pagina bianca”, la bestia nera che turba le notti, così come i giorni, di molti scrittori. Sfiga vuole, però, che in questo momento tanto atteso io mi ritrovi incapace di disporre i pensieri uno accanto all’altro, di dare una struttura alle emozioni, di mettere in fila lettere, parole e frasi che abbiano qualche speranza di rispecchiare quello che ho provato leggendo questo romanzo.
Vi avevo lasciati, al termine della mia recensione di Point Break-In the city, con la certezza che la seconda e ultima tranche avrebbe completato il miracolo che, nel primo volume, era stato soltanto annunciato e ora, mentre decido cosa e come scriverlo, mi sto congratulando con me stessa perché mai previsione è stata più azzeccata.
Point Break-On the road è immenso, nella sua falsamente semplice perfezione. E Marion Seals si conferma come riconosciuta detentrice della capacità, più unica che rara, di trasmettere concetti altissimi con frasi di una semplicità disarmante, di mimetizzare grandi verità travestendole da battute di spirito, di buttare qua e là, quasi con noncuranza, piccole frasi che nascondono sciocchezzuole quali, per dire, riflessioni intense e profonde sul senso della vita.
A differenza di quanto accadeva in Point Break-In the city, nel quale i protagonisti erano ancora nella fase in cui si studiavano a vicenda, un po’ come i cani che si annusano prima di decidere se mettersi a giocare o azzannarsi, questa seconda parte entra direttamente nel vivo dei rapporti. In tutti i sensi. Le scene di sesso sono molte e molto esplicite, così come le parentesi romantiche, le lotte, i giochi di seduzione, le situazioni costruite ad arte per farci spasimare, sudare, eccitare… proprio quello che giustamente ci si aspetta da un romance, anzi, dal Romance con la R maiuscola. Eppure, mentre leggi, a volte ti dimentichi che quello che hai tra le mani è a tutti gli effetti un “romanzo rosa”, nella migliore accezione del termine. Intendiamoci, a priori, questo non è un motivo di plauso: Dio ci scampi e liberi dai libercoli nei quali l’autrice racconta una storia d’amore con la segreta (ma neanche tanto) presunzione di scrivere un romanzo “impegnato”, riuscendo da schifo sia nell’una sia nell’altra impresa. Io non penso affatto che la Seals sia brava perché ha mescolato le due cose, quello che sto cercando di dire è che credo sia incredibilmente brava perché è riuscita a farlo in modo a dir poco perfetto.
Come la fine del precedente ci aveva lasciato immaginare, il romanzo si svolge su due strade parallele, con pochissimi punti di intersezione tra una e l’altra, se non nella parte finale. “Strade” nel senso letterale del termine, visto che la storia segue i due viaggi dei nostri eroi lontano dal pericolo e verso porti sicuri che tutto si riveleranno fuorché questo, per molteplici ragioni. Il sapore “on the road” del libro è delizioso, e reso alla perfezione: ti pare di vedere i luoghi che loro vedono, di vivere i loro disagi, le loro speranze, le loro frustrazioni. Senti il gusto dei pranzi nelle tavole calde per camionisti, l’odore dei classici motel americani, quelli lungo la strada con le grandi e appariscenti insegne al neon, tanto che ti pare di essere in un film. Ma come ogni viaggio letterario che si rispetti, quelli dei protagonisti si riveleranno non soltanto itinerari fisici da un punto all’altro degli Stati Uniti, ma soprattutto dei viaggi alla scoperta di se stessi, tentativi di esorcizzare le proprie paure e di accettare i propri desideri. Di fare pace con se stessi, insomma, per quattro persone diversissime l’una dall’altra che, per un motivo o per l’altro, sono abituate a ritrovarsi perennemente in guerra.
Quello che più mi ha conquistata, in questo libro, è la passione. In ogni pagina, anzi, in ogni parola, si avverte quanto l’autrice senta quello che scrive, quanto conosca alla perfezione i propri personaggi, e quanto li ami. E quanto sia fottutamente abile (ebbene sì, adesso parlo anche come Ryons, e allora?) a gestire i rapporti tra loro. Lei li gira, li rigira, li sviscera e li mette a nudo, servendoceli infine su un piatto d’argento. Non devi fare nessuna difficoltà per comprendere cosa pensino, come si sentano, o perché decidano di comportarsi in un modo piuttosto che in un altro: è tutto perfettamente naturale, giusto, quasi inevitabile.
Personalmente, dal momento in cui mi sono imbattuta nel suo primo libro, ho condiviso con la Seals una profonda comunione di sensazioni, tanto che, leggendola, ho a tratti la curiosa percezione che certe scene le abbia scritte apposta per me. Quando non mi arrabbio perché avrei voluto scriverle io. Per me, dunque, è molto facile lasciarmi trascinare dalla magia, con me lei ha già vinto in partenza. Ma, al di là delle personali inclinazioni, la carta vincente che l’autrice gioca in tutti i suoi romanzi è proprio quella profonda passione, unita a una palese, superiore conoscenza dell’animo, o se preferite della psiche umana, e di tutte le sue innumerevoli, sottili e inafferrabili sfumature. Mentre leggevo, in previsione di questa recensione, da brava precisina quale sono ho cominciato a evidenziarmi quelli che ritenevo i passi salienti, con l’intenzione di citarli per illustrare le mie affermazioni. Il problema è che sono talmente tanti, che se li riportassi tutti voi non dovreste più comprarvi il libro e Marion si arrabbierebbe moltissimo con me. Ma ci proverò, proverò a descrivervi le quattro meravigliose persone che prendono vita tra le pagine del romanzo e l’amore che a poco a poco li lega l’uno all’altro: fragile, complicato, doloroso, eppure totalizzante, assoluto ed eterno.
Ryons, come forse vi ho già “accennato” nella recensione al libro precedente, è l’Uomo Perfetto. Lo è stato fin dall’inizio, ma qui tocca tali livelli di perfezione da farti venire voglia di piangere perché non è tuo.
L’uomo perfetto guarda Charlotte, e questo è quello che pensa:
In realtà, in questo preciso momento vorrei solo un letto su cui scoparla per ore e vorrei sentirla gridare fino a lasciarla senza voce.
Ma non credo che sarebbe contenta di saperlo.
Lui è fatto così. Un ex militare rude, diretto, crudamente e meravigliosamente sincero. Ryons è un maschio, dalla punta dei capelli alla punta degli anfibi, ma senza autocompiacimento, senza presunzione, anzi, con una dolcezza dura e splendente come il più prezioso dei diamanti grezzi.
Non le permetto di finire e la bacio. Non un bacio per stuzzicare o eccitare, ma un bacio per punire l’insolenza, un bacio che le ricordi chi comanda. Affondo nelle sue labbra, succhiando, leccando e mordendo fino a toglierle il fiato. E a perdere anche il mio.
Sebbene in lotta con i fantasmi del passato, non ha paura di mettersi in gioco, non quando sente che ne vale la pena. Nella sua Rossa si perde, perché sa che lo fa soltanto per poi ritrovarsi. Non più solo.
Ed è in quel preciso momento, mentre percepisco il ritmo impazzito del suo cuore sotto la mia mano, che mi lascio andare anche io, ammettendo a me stesso che non ho più il controllo.
Non mi riconosco.
E forse non è un male.
Man mano che procedevo nella lettura della loro storia, pensavo che è davvero incredibile quanto Ryons e Charlotte siano ben assortiti, pur apparendo così diversi.
Ryons è lava e io sono ghiaccio, e quando due elementi così diversi si incontrano non succede mai niente di positivo.
Quanto ti sbagli, cara Charlotte! Lui è esattamente il tipo d’uomo che ci vuole per lei, per spazzare via le sue paure, il suo senso di inadeguatezza, il suo terrore dell’abbandono. Ryons è grande, forte, dominante, tenero e protettivo. È il porto sicuro in cui ritrovarsi per perdersi per sempre. Anche, o forse soprattutto, per chi ha tanta paura.
«Ryons…» sussurro con una nota di panico nella voce, anche se non so nemmeno io quale siano le mie vere intenzioni.
Lui si blocca subito, appoggia la fronte sulla mia spalla, e prende un respiro profondo. «Devo fermarmi?» chiede con voce roca.
Non lo so, davvero, vorrei rispondergli che non lo so. L’unica cosa che so è che ho paura. Non paura di lui, paura di me stessa, di quello che provo e di quello che potrei perdere se mi dovessi lasciar andare completamente; tuttavia ho anche paura di leggere la delusione nei suoi occhi quando scoprirà che sono soltanto la parodia di una donna.
Uno per uno, con estrema naturalezza, Ryons scardina ogni radicatissimo timore di lei. Lo fa a modo suo, prendendosi quello che vuole, mentre insegna a lei che desiderare non è sbagliato. In modo irruente, ma con pazienza infinita. Avete presente quella famosissima canzone che diceva “cerca di essere un tenero amante, ma fuori dal letto nessuna pietà”? Ecco, Ryons è l’esatto contrario:
Dentro il letto è rude ed esigente, mi prende in modi che non pensavo neanche esistessero, stuzzicando fantasie che non credevo proprio di avere, tuttavia fuori si è dimostrato delicato e attento alle mie necessità.
E alla fine lei non può che capitolare perché in fondo…
… chi lo vuole un principe sotto a un balcone, quando posso avere un re nel mio letto?
Io no, e voi?
La storia di Ryons e Charlotte è intensa, il loro percorso non privo di ostacoli, ma nell’insieme ti fa stare bene, apre il cuore all’amore, alla speranza, è come una fiaba di quelle che ci raccontavano da piccole: emozionante e rassicurante allo stesso tempo. E questo è un bene, perché fa da contraltare alla storia parallela, quella di Randy e del suo Iceman, all’anagrafe Finnigan. E qui è puro dolore, di quello che ti prende alle viscere e ti attanaglia. Che ti fa piangere anche se ormai sei abituata a vedere (e a leggere) di tutto. È nella storia di questa incredibile coppia che la forza salvifica dell’amore si estrinseca in tutta la sua potenza dirompente, invincibile.
Due brevi passi per rendervi l’idea di quale sia, al’inizio, la situazione tra loro.
Dopo circa sette ore passate con lui in uno spazio ridotto, mi rendo conto che potrei ucciderlo senza provare alcun rimorso.
La pazienza di Finn, costretto a stare gomito gomito con la realizzazione di ogni suo peggiore incubo, viene messa alla prova in ogni modo possibile. Randy, dal canto suo, ha un solo obiettivo in mente: la conquista. Perché, come egli stesso afferma, Iceman per lui è il fosso di Helm e l’assedio di Gondor, insieme. E, come in quelle epiche battaglie, sa che vincere non sarà facile…
… d’altronde cosa possono dirsi uno stilista gay, democratico e pacifista e un ex Navy Seal, repubblicano ed esperto in tecniche di… tortura.
Poco… forse.
Forse. O forse no. Ma lui non si arrende, perché anche se all’apparenza sembra il più “frivolo” dei quattro, è l’unico ad avere le idee chiare fin dall’inizio, a sapere perfettamente quello che vuole.
Giuro a me stesso che se mi farà entrare nel suo cerchio magico, non dovrà mai pentirsene, perché io saprò renderlo felice: ne sono certo, come è vero che il marrone non va accostato al viola, per nessun motivo.
Raramente mi è capitato di incontrare un personaggio più coraggioso di lui. Più forte e determinato. Randy, a differenza degli altri tre, non compie un viaggio alla scoperta di se stesso, perché non ne ha alcun bisogno: lui sa già esattamente chi è. Il suo è un viaggio di conquista, durante il quale dovrà affrontare prove perigliose, ostacoli insormontabili e dolori che spezzerebbero qualunque persona più debole di lui. Eppure non vacilla, neppure per un secondo. Con la sua squisita ironia, esce da ogni prova ancora più forte di prima e, passo dopo passo, incurante di tutto, guarda verso la cima della montagna, pronto a ogni sacrificio pur di raggiungerla.
… sarò lo sparring partner della sua rabbia: non importa ciò che dovrò affrontare, tutto sarà soltanto un piccolo prezzo da pagare in vista del premio finale.
Lascia che Iceman sfoghi su di lui anni di dolore e di disprezzo per se stesso. Diventa l’icona stessa del suo odio, per permettergli di superarlo, per offrirgli la possibilità che non ha mai avuto: poter essere se stesso.
C’è una scena, nel libro, che è un capolavoro assoluto. È una scena straziante, fatta di dolore, di altruismo e di amore purissimo. Una scena in cui Iceman è l’immagine stessa dell’uomo diviso, “danneggiato”. Un bambino smarrito, che vuole solo non esistere.
Restare qui, dove non c’è niente: né dolore, né tristezza, né vuoto, ma solo il lento scorrere delle gocce di sudore sulla pelle e il battito ritmato del cuore.
Un uomo che intravede una luce troppo lontana perché possa guidare i suoi passi, una bestia ferita, che in realtà è la vera vittima.
La sua lingua che lecca il mio palmo non è l’ultima goccia che riempie un vaso già pieno, ma la prima che impatta sul fondo di un vaso vuoto.
Così è troppo… troppo…
È un lampo accecante che cancella tutto quello che credevo di essere.
È il nulla, l’oblio. È infinito, potente, destabilizzante.
È caldo e freddo, buio e luce.
Morte e vita.
È una strada senza ritorno.
Randy, qui, raggiunge il massimo livello di grandezza. Ignora la bestia e prende per mano il bimbo impaurito, senza paura, senza pensare a se stesso.
Mi desidera e per questo mi odia, e si odia. L’unico modo che ha per non essere costretto a guardarsi dentro è trattarmi come un oggetto, annullarmi come persona.
E io mi lascerò usare.
Quanto coraggio ci vuole per annullarsi consapevolmente per amore? Questo romanzo è un inno all’amore, all’amicizia, alla diversità intesa come valore.
Ci sarebbe ancora moltissimo da dire, potrei parlarvi di quanto l’autrice sia brava a raccontarci cosa significa aver vissuto le peggiori atrocità e riuscire a trovare il coraggio per continuare a vivere e per essere addirittura persone migliori. Potrei decantare la squisita delicatezza con cui affronta temi difficili e di grande attualità, facendo di questo libro un piccolo grande manifesto dell’uguaglianza e del diritto inalienabile di essere se stessi. Potrei lodare la cura con cui è costruita ogni singola frase, l’attenzione ai dettagli, le infinite ricerche che chiaramente sono state fatte. Potrei, e lo faccio, dedicare un grande applauso a chi c’è “dietro” al libro: alla straordinaria editor, che in realtà è molto più di questo, ai preziosi consulenti grazie ai quali tutto ci appare così splendidamente “vero”, e al genio della grafica, che in un’immagine ha saputo dirci tutto. E potrei parlarvi dell’epilogo, che ci fa venire l’acquolina in bocca al pensiero di quello che ci aspetta… Ma non voglio rischiare di annoiarvi, quindi concludo dicendovi soltanto che non leggere questo libro sarebbe una grande occasione persa.
E ricordatevi sempre che, come sostiene Randy, il nostro eroe: la diversità spaventa e l’amore incondizionato non si insegna, o lo hai dentro oppure no.
Voto: 5
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